La società di Elon Musk dovrà pagare 610mila dollari per non aver collaborato all’indagine condotta dall’autorità regolatoria sulla diffusione di contenuti illegali online
Ogni giorno porta una pena per Elon Musk. Solo pochi giorni fa il proprietario di X aveva ricevuto la missiva di Bruxelles che lo accusa di diffondere attraverso la piattaforma “disinformazione” sul conflitto tra Israele e Hamas. Oggi la multa da oltre 610mila dollari (circa 360 mila euro) arrivata dall’Australia per non aver cooperato all’indagine che il regolatore ha promosso per il contrasto alla diffusione di contenuti pedopornografici online.
Un altro colpo alla reputazione della piattaforma che, dopo l’acquisizione nel 2020 da parte del proprietario di Tesla e SpaceX, ha registrato una fuga degli inserzionisti e un crollo degli investimenti pubblicitari.
Le accuse del regolatore australiano
In base alla legge approvata nel 2021, la Online Safety Act, l’autorità australiana può obbligare le società di Internet a fornire informazioni sulle loro politiche di sicurezza, pena il pagamento di una multa. Musk ha 28 giorni per saldare l’ammenda o presentare una richiesta di revoca. In caso di mancato pagamento, l’ente regolatore ha la facoltà di citare in giudizio il tycoon.
“Per alcune domande, X non ha fornito alcuna risposta”, scrive Julie Inman Grant, a capo della eSafety Commission australiana. “In altri casi ha dato risposte incomplete e inaccurate”. Il questionario chiedeva conto degli sforzi messi in capo dalla piattaforma per contrastare e rimuovere i contenuti pedopornografici: il tempo impiegato per rispondere alle segnalazioni, le pratiche adottate per individuare gli abusi in livestream, l’adeguatezza dello staff dedicato alla moderazione dei contenuti.
Elon Musk ha sempre sostenuto che “rimuovere lo sfruttamento dei minori è la priorità numero 1”. Una dichiarazione di intenti che stride però con le risposte fornire dalla società.
I vertici di X hanno ammesso che i sforzi per eliminare i contenuti pedopornografici sono crollati nell’ultimo anno, da quando il tycoon ha preso le redini del social network. Allo stesso modo la società ha detto di non impiegare strumenti per individuare e rimuovere gli abusi ai danni dei minori perché “la tecnologie sono ancora in fase di sviluppo”.
La società ha confermato al regolatore di aver tagliato l’80% della forza lavoro a livello globale. Il licenziamento di migliaia di dipendenti, inclusi quelli deputati alla moderazione dei contenuti, è una delle cause all’origine della proliferazione di contenuti falsi, incitamento all’odio e alla violenza oltreché la riammissione di account in precedenza rimossi.
Che X sia diventato il brodo di coltura in cui attecchiscono le fake news lo ha certificato anche la Commissione europea, che alla fine di settembre ha diffuso il rapporto sullo stato di attuazione del “Codice di condotta sulla disinformazione” firmato dai principali operatori digitali e dal quale la piattaforma del tycoon si è ritirata lo scorso maggio. Secondo l’esecutivo comunitario, è su X che si concentra “il più alto tasso di false informazioni” mentre il social network ha mostrato scarsissimo impegno sul fronte del contrasto alle notizie false.
I richiami nei confronti di Google
L’autorità australiana ha inviato richiami formali anche nei confronti di Google, Discord, TikTok, Twitch, dopo aver riscontrato che gran parte delle società tecnologiche non è in grado di prevenire, individuare e rimuove in modo adeguato i contenuti che promuovono lo sfruttamento sessuale dei minori.
La società controllata da Alphabet in particolare è accusata di non aver risposto in modo accurato alla richiesta di informazioni e di non fare abbastanza per rimuovere i link che rimandano a materiale pedopornografico.
“Francamente ho trovato sorprendente quanto sia difficile ottenere informazioni accurate e precise. Sono stupida dal fatto che le società che dovrebbero avere i sistemi più sofisticati e maturi non hanno la volontà o la capacità di fornire le informazioni, ha detto Julie Inman Grant, la Guardian Australia.